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UN MONDO DI ITALIANI

Sulle orme dei migranti

L'esodo degli italiani all'estero è inarrestablie. Confrontando i dati forniti dall' Istat, è possibile individuare le regioni da cui partono più cittadini, il sesso e l'età di questi ultimi. Ma quali sono le cause dell'emigrazione? E come si potrebbe porre riparo?

Gli emigrati italiani all'estero dal 2002 al 2015

Mentre la mappa con i valori assoluti mostra che la Lombardia possiede il primato migratorio, quella basata sull'analisi del tasso di emigrazione rispetto alla popolazione totale di ogni regione, mostra una situazione differente:

  

Puoi visionare il tasso di emigrazione, anno per anno:
e per sesso: Maschi Femmine





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Storia



L’Italia oggi è meta di molti immigrati provenienti dai paesi più poveri dell’Europa e del mondo, ma in passato non è stato così. Gli italiani infatti sono stati protagonisti dei più grandi flussi migratori della storia tra Ottocento e Novecento. Per meglio analizzare il fenomeno, gli storici hanno individuato due grandi ondate:

- la prima, la grande migrazione, che va dal 1876, data che indica la prima rilevazione ufficiale dell’emigrazione italiana, agli anni ’30 del Novecento
- la seconda, l’emigrazione europea, che ha avuto inizio a partire dagli anni ’50 e continua inesorabilmente ancora oggi.

Tra il 1876 e il 1900 il fenomeno interessò prevalentemente le regioni settentrionali come Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Piemonte, mentre poi, nei due decenni successivi, il primato passò alle regioni meridionali. Generalmente il motivo principale dell’emigrazione è la ricerca di migliori condizioni di vita. La grande migrazione, infatti, ha avuto origine dalla povertà diffusa in numerose zone del territorio italiano e dal desiderio di riscatto di intere fasce della popolazione. La partenza di più di 14 milioni di persone verso le Americhe e l’Africa portò ad un forte alleggerimento della la “pressione demografica” nel nostro paese. La seconda ondata migratoria, invece, aveva come mete la Francia, la Svizzera e la Germania, ovvero i paesi europei in crescita. Il patto di emigrazione firmato dallo stato italiano con la Germania nel 1955 portò quasi 3 milioni di italiani a varcare la frontiera in cerca di lavoro. Uno dei più forti fenomeni di aggregazione è l’associazionismo di emigrazione: il Ministero degli Esteri calcola che esistono più di 10.000 associazioni di mutuo soccorso, culturali, di assistenza e di servizio, le quali hanno costituito nel tempo un punto di riferimento nel difficile percorso di integrazione nel paese di arrivo. Tra la fine del XX secolo e l’inizio del successivo, il flusso emigratorio dall’Italia si è attenuato. Tuttavia, in seguito alla grave crisi economica del 2007, è ripartito un flusso consistente di espatri. Si tratta di un nuovo tipo di emigrazione, completamente diversa da quella storica. Il fenomeno viene definito “fuga dei cervelli”, in quanto un quarto degli emigranti è costituito da professionisti laureati.

"J’ai cru trouver loin de la Doire,
Un séjour plus cher à mon coeur;
Plein d’une espérance illusoire
Ailleurs j’ai cherché le bonheur;
Mais quand j’ai connu ma folie,
Sentant mon coeur brûlant d’amour,
J’ai voulu revoir ma patrie
Et ceux qui m’ont donné le jour…"

- Testo tratto da "Chansonnier Valdôtain"



La Valle d’Aosta non è mai stata una regione caratterizzata da un forte flusso di emigrati. Gli spostamenti sono cominciati negli anni Trenta, durante il secondo Dopoguerra, verso le vicine Francia e Svizzera data la comunanza linguistico-culturale. I valdostani organizzano ogni anno in un comune differente della regione una nuova edizione della “Rencontre des émigrés”, ovvero il raduno degli emigrati all’estero. Gli emigrati odierni sono perlopiù persone che non trovano un lavoro corrispondente alle attività per cui hanno studiato oppure ritengono che il loro territorio abbia esaurito le chances. La situazione della regione non è stabile, in quanto il bilancio regionale viene tagliato di anno in anno. Il flusso migratorio, quindi, non è più una diaspora come quella dei secoli passati, ma è una scelta consapevole e non esclusivamente guidata dal bisogno. Negli ultimi anni, come sta avvenendo per molte regioni del Nord Italia, il numero di emigrati all’estero è in forte crescita rispetto agli anni precedenti.

"Cara moglie, di nuovo ti scrivo
che mi trovo al confin della Francia
anche quest'anno c'è poca speranza
di poterti mandar del denar.
La cucina l'è molto assai cara
e di paga si piglia assai poco
e i Bresciani se ne vanno al galoppo
questa vita la posso più far…"

- Lettera facente parte del repertorio della famiglia Bregoli



La Lombardia, al pari delle altre regioni italiane, è stata terra d’emigrazione di massa con più di due milioni di individui emigrati nell’arco di cento anni (1875-1975). Molti di loro hanno raggiunto notevoli livelli di affermazione in Europa: sono divenuti imprenditori, politici, intellettuali, liberi professionisti, ottenendo posizioni di rilievo, creando imprese ed istituzioni. Questo fa sì che ai lombardi stabilitisi all’estero in passato si affianchino coloro che all’estero si recano come dipendenti di imprese, tecnici, studenti, ricercatori e lavoratori autonomi. Presenti in proporzione relativamente modesta rispetto ai residenti permanenti, essi sono assai dinamici. Si tratta di giovani che hanno una mobilità “in itinere”: non hanno un progetto ben definito, ma cambiano Paese in base alle opportunità che l’ambiente lavorativo offre. È sorprendente quanto sia cresciuto negli ultimi anni il numero di lombardi traferitisi all’estero: se nel 2002 se ne contavano pochi più di 3500, nel 2015 sono divenuti quasi 20500.

"…Ma se ghe penso alôa mi veddo o mâ,
veddo i mæ monti, a ciassa da Nonçiâ,
riveddo o Righi e me s'astrenze o cheu,
veddo a lanterna, a cava, lazù o Meu...
Riveddo a-a séia Zena iluminâ,
veddo là a Fôxe e sento franze o mâ
e alôa mi penso ancon de ritornâ
a pösâ e òsse dôve ò mæ madonâ…"

- Canto popolare



In Liguria, molti cittadini, individualmente ed anche in gruppi familiari, avevano lasciato la loro terra diretti nel Sud e nel Nord America già durante l’Ottocento. Attraverso i porti era stata avviata una rete di contatti commerciali con i paesi del continente americano e questo ha favorito lo spostamento di uomini e famiglie in quella parte del mondo non appena si venne a sapere delle possibilità di lavoro e di arricchimento offerte. I primi ad emigrare erano i contadini e gli artigiani, i quali erano in gravi difficoltà economiche e preferivano partire pur di fornire un buon sostentamento alla famiglia. Oggi il fenomeno emigratorio ligure è in crescita: molti giovani di età compresa tra i 18 e i 39 anni decidono di trasferirsi all’estero in cerca di un lavoro più stabile e di una sistemazione.

"Co San Marco comandava
se disnava e se senava.
Soto Franza, brava xente,
se disnava solamente.
Soto casa de Lorena
no se disna e no se sena.
Soto Casa de Savoja
de magnare te ga a voj"

- Canto popolare



Nella società rurale del Veneto del XX secolo ad emigrare non erano intere famiglie, bensì solo i capifamiglia. Gli aspiranti lavoratori erano ingaggiati in Europa Centrale da agenti delle grandi imprese edilizie, i quali, vista la carenza di braccia, cercavano manodopera per le loro fabbriche ed i loro cantieri. Il tipico emigrante veneto era un bracciante o un piccolo coltivatore privo di preparazione professionale e semianalfabeta, quindi facile vittima di truffe. L’emigrazione era vista anche come valvola di sfogo per l’eccesso di popolazione e come prospettiva di riscatto sociale per tutti coloro che venivano sfruttati dai proprietari terrieri. Alla fine degli anni ’90, però, lo sviluppo dell’industria le nuove tecniche impiegate nel settore agricolo hanno portato all’occupazione completa della manodopera disponibile, ad un aumento del tenore di vita ed al calo del flusso migratorio dei veneti. Tuttavia, a partire dagli anni 2000, lo spettro dell’emigrazione è riapparso. Giovani diplomati e laureati sono costretti ad emigrare in stati più organizzati e preveggenti, offrendo il loro sapere e le loro capacità. La mobilità di questi giovani è in itinere e può modificarsi continuamente, in quanto non si basa su un progetto migratorio già determinato, ma su continue e sempre nuove possibilità incontrate nel cammino. Fino al 2011, il numero degli emigranti veneti era in aumento, ma non si trattava di una crescita repentina. Dal 2012 in poi, però, tutto è cambiato: a lasciare la regione sono stati più di 6500 contro i quasi 5000 dell’anno precedente.

"…E alla Merica noi siamo arrivati
no' abbiam trovato nè paglia e nè fieno
Abbiam dormito sul nudo terreno,
come le bestie abbiam riposa'…"

- Canto popolare, "Merica Merica"



Il Piemonte ha avuto una parte di primo piano nelle dinamiche migratorie italiane fino ai primissimi anni del Novecento. Successivamente il suo flusso in uscita si è indebolito ed è stato superato dal flusso emigratorio delle regioni del Sud. I piemontesi emigranti si dedicavano a tutte le professioni: prevalevano gli agricoltori e a questi seguivano i braccianti, gli artigiani e, in più piccola parte, alcuni professionisti, insegnanti, marinai, pescatori, artisti e commercianti. Gli espatri erano determinati da ragioni prevalentemente economiche, in quanto il salario era insufficiente a garantire la sopravvivenza della famiglia. La regione oggi promuove molte iniziative volte a rinsaldare i rapporti tra gli emigrati piemontesi e la loro terra d’origine. L’obiettivo è facilitare il rientro e il reinserimento in Piemonte degli emigrati attraverso contributi per le spese di viaggio e per l’incentivazione alla creazione di attività produttive. Il numero di persone che lasciano il Piemonte è sempre in aumento come accade in numerose regioni del Nord Italia.

"Io parto per l'America
sul lungo bastimento
io partirò contento
per non vederti più…"

- Canto popolare, "Io parto per l'America"



Tra la fine dell’Ottocento ed i primi anni del Novecento, in Emilia Romagna si è avuto uno sviluppo del fenomeno migratorio. In molti hanno lasciato la regione per cercare fortuna all’estero: la meta preferita era l’America. Fra le ragioni dell’espatrio, oltre alla crisi agraria, ha avuto un ruolo fondamentale il mancato sviluppo di attività artigianali-industriali in grado di assorbire la manodopera in eccesso. Oggi i flussi in uscita dall’Emilia Romagna si sono sensibilmente ridotti rispetto agli anni del Novecento. Eppure l’emigrazione non si è esaurita, anzi continua sotto altre forme. Ad alimentarla sono in primo luogo persone dotate di un titolo di studio medio-alto: si tratta soprattutto di giovani alla ricerca di migliori opportunità di lavoro. Il fenomeno è in forte crescita negli ultimi anni: dai dati si evince che nel 2002 sono andati via circa in 1300, nel 2015 in 7000.

"Alla Patria vola il mio pensiero,
alla mamma ed al casolar.
Nel silenzio volerla piangere,
quando penso all'ora di partir…"

- Canto popolare



In Trentino Alto Adige la mobilità sociale ha sempre rappresentato un fenomeno persistente. Dall’antica transumanza dei pastori alle più disparate tipologie migratorie. Il problematico rapporto popolazione-risorse è stato esasperato da un insieme di cause che rendevano indispensabile la ricerca di un lavoro fuori dalla regione. L’emigrazione, in questo modo, non rappresentava soltanto una valvola di sfogo, ma era un importante sistema di produzione di ricchezza fondato sulla mobilità. Coloro che si spostavano erano perlopiù artigiani e commercianti specializzati, braccianti agricoli e segantini del fondovalle. Oggi in molti lasciano la regione per trasferirsi all’estero. Certamente, ad influenzare il fenomeno emigratorio, c’è anche la posizione geografica, fattore che si unisce ad una forte difficoltà nel trovare un lavoro stabile. I cittadini preferiscono rinunciare alla sicurezza delle proprie radici per ricercare altrove un futuro potenzialmente più certo. Come nella maggior parte delle regioni del Nord Italia, il numero di emigrati sta nettamente aumentando nel corso degli anni. È notevole, infatti, la differenza tra gli emigrati nel 2002 (circa 700) e quelli del 2015 (più di 2500).

"Lassa la famea
la cjasa il beârz l'ostaria
i amîs las pedradas un cîl da sisilas
i odôrs di una vita"

- Leonardo Zanier, "Stagjonâi"



A partire dalla fine dell’Ottocento, in Friuli-Veneziia Giulia il numero di emigrati ha subìto un rapido incremento. Per questo motivo, sin da subito è stato istituito il Commissariato dell’Emigrazione e sono sorti enti privati, laici e religiosi, con il fine di assistere coloro che decidevano di trasferirsi all’estero. L’emigrazione di quel periodo però era ancora stagionale, riguardava per oltre il 90% gli uomini e coinvolgeva prevalentemente le aree montane e collinari della regione. Le cause erano perlopiù di ordine economico: l’intenzione dell’emigrante era quella di andare incontro ad una situazione di stabilità che permetteva di mantenere la famiglia rimasta in Italia. I friulani non hanno mai smesso di partire: oggi si nota una notevole intensificazione di emigrazione di giovani con titoli di studio elevati. I dati tendono a confermare la sempre più diffusa percezione di una crescente emigrazione, intellettuale e non solo, di ragazzi che cercano di realizzare all’estero quelle prospettive di lavoro e di vita che nella loro regione sembrano spesso precluse.

"Son partito al chiaro di luna
per cercare un po' di fortuna,
e nel partir tutto dovei lasciare:
questo l'é 'l destin di chi deve 'migrare!
Tra la neve e il vento gelato
col pensiero a ciò che ho lasciato;
e nel mio cuor mi vien la nostalgia
dei monti e i pian della vallata mia…"

- Canto popolare, "Son partito al chiaro di luna"



In Toscana il fenomeno dell’emigrazione ha avuto origine nei territori lucchesi, i quali hanno subìto una crisi durante il XIX secolo a causa di una serie di processi economici negativi come la mancata trasformazione strutturale dell’agricoltura e la posizione isolata dell’alta valle della Garfagnana. Il tasso di disoccupazione, le ricorrenti crisi agricole, le carestie e l’eccessiva frammentazione delle proprietà rurali furono i fattori principali che portarono all’emigrazione temporanea e a quella permanente. Ad emigrare verso l’estero erano perlopiù i maschi adulti e in età lavorativa: partivano, lavoravano in nicchie protette e, in un secondo momento, decidevano se rientrare in Italia (emigrazione temporanea) o far arrivare nel paese ospite anche consorti e figli (emigrazione permanente). Oggi sono soprattutto i giovani “millennials”, ovvero gli appartenenti alla fascia d’età tra i 18 e i 36 anni, ad emigrare. Si tratta di ragazzi che hanno terminato il loro percorso di studi e sono molto specializzati, ma che sono delusi dalla loro regione in quanto offre poche speranze lavorative: non è rassicurante evincere che il numero di toscani che decidono di lasciare il territorio è in repentino aumento nel corso degli anni. Anche numerosi anziani preferiscono trascorrere la loro terza età all’estero: Bulgaria, Ucraina, Romania, Polonia e Spagna offrono un aumento di pensioni.

"…Parti da casa ha poco lieto il core
si riunisce assoma a diversi compagni
lascia la moglie immersa in un dolore
e i figli scarzi e 'gnudi come ragni
dicendogli: se giova el mio sudore
ho la speranza farli bon guadagni
soccorso vi darò come vedrete
vi comprerò le scarpe e mangerete…"

- Canto popolare



L’emigrazione all’estero è solo una tra le tante tipologie migratorie che caratterizza l'Umbria nel dopoguerra e, anzi, spesso rappresenta l’esito finale di un percorso che li ha visti prima spostarsi verso le pianure, poi verso i piccoli e medi centri urbani e poi nelle grandi città dell’Italia centro-settentrionale. Oggi l’Umbria è stata colpita dalla crisi economica e i suoi abitanti sono costretti a trasferirsi all’estero per cercare prospettive di occupazione ed un futuro migliore e dignitoso: dopo il 2007, anno in cui la crisi economica ha colpito l’intera nazione, il numero degli umbri emigrati all’estero è cresciuto sempre più. La maggior parte di questi appartiene alla fascia tra i 18 e 39 anni: dato al tempo stesso interessante e preoccupante. Interessante poiché permette di analizzare e capire meglio i cambiamenti che sta subendo la regione; preoccupante poiché, senza i più giovani, l’Umbria avrebbe sempre meno possibilità di potersi rialzare dalla situazione in cui grava. I più giovani rappresentano la generazione più penalizzata dal punto di vista lavorativo e vedono l’emigrazione come un mezzo per soddisfare le ambizioni e nutrire le curiosità.

"…Tu pensa che fede, ti do in questo giorno
che s'io non ritorno, son morto per te
Ah no no, non pianger coraggio, ben mio
quest'ultimo addio ricevi da me
Ah no no, non pianger coraggio,
ben mio quest'ultimo addio ricevi da me."

- Canto popolare, "Coraggio ben mio"



A differenza di altre regioni italiane che si aprivano all’emigrazione di massa sin dagli ultimi anni dell’Ottocento, nelle Marche il fenomeno era pressoché nullo. Un aspetto fondamentale che ha condotto il popolo marchigiano all’emigrazione verso l’estero è stato il forte peggioramento della situazione economica dell’intero paese italiano e la conseguente diminuzione di produzione agraria. In particolar modo, nelle Marche è scoppiata una forte crisi delle industrie minerarie dello zolfo. Il flusso migratorio più consistente dei marchigiani prediligeva come meta l’Argentina, la quale offriva un campo pulito sul quale era possibile costruire tutto ciò di cui si aveva bisogno (abitazione, stalle e pozzi d’acqua). I flussi di oggi sono determinati dalla scomparsa di posti di lavoro nel settore primario, a causa del crescente sviluppo delle industrie, e dall’incapacità di assorbimento adeguato in altri settori. Per questi motivi, il numero di emigranti marchigiani è sempre in rapido aumento: se nel 2002 era pari a 400, nel 2015 è salito quasi a 3000.

"Non è grossa, non è pesante
la valigia dell'emigrante...
C'è un po' di terra del mio villaggio,
per non restar solo in viaggio...
un vestito, un pane, un frutto
e questo è tutto.
Ma il cuore no, non l'ho portato:
nella valigia non c'è entrato…"

- Gianni Rodari, "Il treno degli emigranti"



Il Lazio non rientra storicamente nelle regioni che hanno dato il maggior contributo in termini di popolazione all’emigrazione italiana all’estero. Nonostante questo, l’emigrazione dei laziali è cominciata fin dall’Unità d’Italia e nella provincia di Frosinone ha indotto lo spopolamento di diversi comuni. Si partiva per lavorare come braccianti, manovali, artigiani, negozianti, domestici e artisti di strada. Il fenomeno, inoltre, ha avuto un altro picco nel periodo subito successivo alla Seconda Guerra Mondiale. Ad emigrare erano i più poveri ed i meno istruiti: ricercavano delle condizioni di vita migliori nei Paesi esteri. La situazione odierna è differente: a trasferirsi all’estero sono prevalentemente i giovani non contenti delle opportunità offerte dal loro territorio. La regione cerca di intervenire a favore dei corregionali all’estero per sviluppare relazioni economiche, per sostenere e rafforzare l’identità culturale ed il legame con la terra d’origine, per favorire il rientro definitivo dei lavoratori emigranti, facilitando il reinserimento sociale e lavorativo. Nel periodo di crisi economica (2007-2008) si è avuto un calo dell’emigrazione laziale, la quale però ha ricominciato a presentarsi in modo molto evidente a partire dal 2010, anno in cui la regione ha cominciato a rialzarsi dal punto di vista economico.

"…Sulla mappa rugosa ora ti fingi quelle strade,
le città mai credute che racconta il tuo sposo lontano nei caratteri
gonfi di nostalgia. La curva dei binari ha rivelato
distanze inesplicabili, un paese straniero ti ferisce con il nome
di sillabe pungenti come cardi…"

- Giulio Stolfi, "Donna dell'emigrante"



A differenza di altre regioni, in Basilicata l’emigrazione ha rappresentato sicuramente il fenomeno che, più di ogni altro, ne ha cambiato il volto spopolandola ampiamente e privandola delle sue forze più importanti. Le cause sono state molteplici: difficoltà nel settore agricolo, data la conformità del territorio; pessime condizioni idrogeologiche; cattiva amministrazione locale e forte pressione fiscale che, assieme ad altri elementi, hanno reso difficile il progresso economico e culturale della regione. Un altro grande freno allo sviluppo del territorio è stata senza dubbio la scarsissima presenza di collegamenti viari che poneva la Basilicata in uno sterile isolamento. Oggi, invece, la regione gode di un miglioramento economico, ma comunque si assiste all’emigrazione intellettuale di numerosi giovani laureati che ogni anno lasciano il loro territorio per spostarsi dove sperano di trovare un tessuto produttivo più aperto, affinché possano realizzarsi come lavoratori e come persone. Con la crisi economica del 2007, il flusso migratorio dei lucani si è attenuato. Tuttavia, negli anni immediatamente successivi ha ricominciato a crescere non raggiungendo però il picco rilevatosi nel 2006 (quasi 1000 emigranti).

"…Triste ja'partenza si se' va' luntano,
ma cchiu' ënfame ja' luntananza, pe' nuje Napulitane.
Spartute d''a famiglia p''e terre assaje luntano…"

- Canto popolare



La Campania ha conosciuto due grandi esperienze migratorie verso l’estero: la prima a cavallo tra la fine del XIX secolo e il primo ventennio del XX, e l’emigrazione del secondo dopoguerra, stimolata soprattutto dalla domanda di manodopera dei paesi latinoamericani e dei paesi del Nord Europa. Per i campani, l’emigrazione un fenomeno doloroso che ha sempre significato abbandono dei focolari domestici, allontanamento da tradizioni, usi e costumi tipici. Il non aver ben affrontato problema dei flussi migratori ha fatto sì che il fenomeno si radicalizzasse a tal punto da divenire inestinguibile. Fino a qualche anno fa i campani credevano che con l’esodo indiscriminato di centinaia di migliaia di persone si risolvesse il problema della disoccupazione. Ma, lasciando inalterata la realtà di partenza, questa provocava ulteriore disoccupazione e nuove fughe verso altre frontiere. La regione oggi sta cercando di mettere in atto soluzioni per porre fine all’esodo dei più giovani, i quali non si sentono ben appagati dalle offerte del territorio e decidono di emigrare per garantirsi un futuro migliore. La crisi economica del 2007 che ha colpito l’intero paese ha fatto sì che il flusso migratorio campano subisse un notevole calo, ma dal 2010 in poi il numero degli emigrati ha ricominciato a crescere.

"Pajese mije, Anzanez
pure chi vaje luntane
da te vòle turnà
pe se fà abbrazzà
da ri vje toje
da ri campagne soje
e qua veche l'emigrante
turnate triunfante…"

- Rosa Staffiere, "L'emigrante"



La Puglia è stata una delle regioni con i più alti tassi di emigrazione nel corso del XX secolo. Sono milioni i pugliesi che hanno scelto la strada dell'emigrazione. Dopo la fine della Guerra Mondiale l’agricoltura era ancora caratterizzata dalla piaga del latifondo che non lasciava posto alla libera iniziativa privata, né consentiva la realizzazione di opere e di infrastrutture. I reduci rientravano con la speranza di vedere realizzate le promesse fatte loro quando erano in trincea, ma al rientro trovavano le loro famiglie sempre più misere e il lavoro sempre più carente. Furono questi i motivi prevalenti della partenza dei pugliesi in passato. La figura dell’emigrante contemporaneo, invece, è molto diversa dal suo omologo della generazione precedente. Solo alcuni emigrano insieme alla famiglia, la maggior parte lo fa individualmente. Prevalentemente si tratta di laureati che, non trovando lavoro nelle vicinanze di casa, si spostano dove la richiesta di "cervelli" (insegnanti, medici, avvocati, ecc.) è costante, con una domanda spesso superiore all’offerta. Idea di trasferirsi all’estero, soprattutto in Inghilterra e in Germania, viene spesso presa in considerazione anche da giovani che non possiedono la laurea: partono alla ricerca di esperienze lavorative più allettanti rispetto a quelle offerte dal territorio pugliese. È curioso constatare che, nonostante la crisi economica originatasi nel 2007, il numero dei pugliesi emigrati all’estero è diminuito tra il 2005 e il 2010 per poi aumentare repentinamente negli anni successivi. Probabilmente la regione ha saputo ben gestire la crisi, oppure i pugliesi hanno ritenuto che emigrare all’estero non fosse una buona soluzione alle difficoltà economiche che stavano avendo.

"Come granchi partono
con pelli di ricambio
profumo di pianto antico
stirate da bianchi capelli
in valige a spago
domicili erranti…"

- Michael Santhers, da “Soste precarie”



A metà dell’Ottocento il fenomeno migratorio era completamente sconosciuto nel Molise. Con l’Unità d’Italia, però, nelle campagne incalzavano drammatiche crisi economiche, le quali divengono ben presto motivo di un improvviso esodo. Nei molisani vi era già una forte predisposizione alla “pendolarità” data la pratica secolare della transumanza (migrazioni stagionali del bestiame dai pascoli di pianura a quelli dei territori montuosi e viceversa): non era inconsueto che gli uomini fossero lontani da casa per poter procurare sostentamento alla famiglia. Tra i primi ad emigrare c’erano i contadini, poi gli artigiani ed alcuni professionisti. Oggi il fenomeno ha caratteristiche e motivazioni diverse rispetto al passato e riguarda fasce d'età e categorie sociali differenti. Si tratta di giovani ragazzi qualificati che ormai non vedono la loro regione come un luogo di opportunità che possa permettere loro di passare dalle scuole ad un valido ambiente lavorativo. Gli emigranti, una volta giunti a destinazione, vengono spesso accolti da familiari già emigrati anni prima.

"Strada mia abbandunata, mo te lassu
chiagnennu me ne vaju le vie vie.
O quanti passi che da tia m'arrassu,
tante funtane faru l'uocchie mie.
Nun so' funtane, no, ma fele e tassu,
tassu che m'entassau la vita mia…"

- Canto popolare, “Chiantu de l'emigranti”



La storia dell’emigrazione in Calabria comincia alla fine dell’Ottocento ed ha un picco durante i primi trent’anni del Novecento. A decidere di partire erano prevalentemente i piccoli proprietari terrieri e gli artigiani, i quali riuscivano facilmente a riunire i mezzi finanziari per investire nell’emigrazione. Essi, infatti, potevano contare sul piccolo risparmio dovuto all’eventuale vendita di terreni oppure al contributo dell’intero nucleo famigliare allargato. Le famiglie investivano letteralmente nella partenza di un parente alla ricerca di fortuna per poi raggiungerlo quando la situazione fosse divenuta stabile. Il processo dell’emigrazione negli anni ha stravolto il territorio calabrese: ha trasformato tradizioni, usi e consumi ed a ridotto sensibilmente la popolazione, condannando all’abbandono paesini e borghi dell’entroterra. La realtà calabrese oggi è fortemente drammatica dal punto di vista sociale e ciò rappresenta la principale causa dell’inarrestabile fuga dei cittadini verso l’estero. La qualità dell’emigrazione rispetto a quella di un tempo è cambiata: a partire sono spesso laureati, tra cui molte donne. Questo avviene a causa della carenza di occasioni di lavoro qualificato ed in generale per la mancanza di un contesto di vita non consono alle esigenze dei giovani. Nel 2007, anno della crisi economica, il flusso dalla Calabria è diminuito vistosamente per poi aumentare nuovamente nel 2012.

"Ti lassu Sicilia bedda mia
Iu parru sulu la lingua to,
e partu e vaju assai luntanu
unni si parra sulu amiricanu"

- Franco Trincal, in “Lettera al papà lontano”



Nel grande fenomeno dell’emigrazione la Sicilia è venuta per ultima. Il fenomeno infatti ha preso piede soltanto dopo il 1900, divenendo però sin da subito intenso. L’emigrazione verso territori esteri cominciò specialmente dalla parte Ovest e Sud, incoraggiata dagli istituti giuridici arabi: essi davano la possibilità di pagare in modo graduale i suoli acquistati. Questo permise la formazione di un’imponente colonia di proprietari coltivatori nel vicino paese africano. Se in passato a spostarsi erano intere famiglie, oggi le cose sono cambiate. L’estero accoglie in gran parte giovani, appartenenti ad una fascia d’età compresa tra i 18 e i 39 anni, stanchi di continuare a cercare un lavoro stabile nel loro territorio senza riuscire a trovarlo. A questi seguono le persone con un’età compresa tra i 39 e i 64 anni: si tratta soprattutto di chi possedeva un lavoro, ma lo ha perduto e si è visto costretto ad emigrare altrove, oppure di chi desidera trascorrere gli anni della pensione all’estero. Così come è avvenuto nella maggior parte delle regioni del Sud Italia, anche l’emigrazione dei siciliani ha subito una contrazione durante gli anni della crisi contemporanea, scendendo al di sotto dei 4500 emigranti nel 2007 a differenza dei quasi 7000 dell’anno precedente.

"Sardu-emigrante est’unu faeddu solu
Isparsu, in d’onzi cuzzu ‘e su mundu
Frunda bella hat fattu tot’in tundu
Chi sos suzzessos li sunis de consolu.
Partidu, ti che ses a s’aventura
In chirca, ‘e su bramadu tribagliu
Cun corazzu, e unu miseru bagagliu
In su menzus de sa tua gioventura…"

- Luigi Ladu, "A s'emigrante"



I flussi emigratori dalla Sardegna si sono manifestati in ritardo e in maniera differente rispetto alle tendenze generali dell'emigrazione italiana e meridionale. Durante il Dopoguerra si è avuto un picco del fenomeno. Tale picco è dipeso dalla crisi del settore minerario, la quale era dovuta al calo dei prezzi del piombo e dello zinco e dalla minore possibilità di smercio del carbone. Il flusso migratorio, quindi, non ha un'origine rurale, come di solito accade, ma urbana in quanto parte dai centri industrializzati. Nel XXI secolo molti vanno via dalla Sardegna poiché delusi per non essere riusciti a realizzarsi nella loro terra. Altri sono certi di tornare e sostengono che l’esperienza all’estero li aiuterà a farsi valere un domani in casa propria. Altri ancora non fanno programmi: partono e basta, vogliono mettersi alla prova. Quasi tutti possiedono un titolo di studio, laurea o diploma, da mettere sulla bilancia.

"Sole alla valle, sole alla collina',
per le campagne non c'è più nessuno.
Addio, addio, amore,
io vado via,
amara terra mia, amara e bella…"

- Luigi Ladu, "A s'emigrante"



In passato, l’Abruzzo era rimasto a lungo isolato dal resto d’Italia poiché circondato da impervie montagne. Tale isolamento è stato superato con l’Unità d’Italia e con lo sviluppo di una rete ferroviaria, ma comunque risultava una delle regioni più povere. L’economia si basava ancora sulla pastorizia e sull’agricoltura, attività esercitate con metodi che non garantivano agli abitanti un buon tenore di vita. L’industria, a causa dell’isolamento avuto nei secoli, si riduceva a piccole attività artigianali e il commercio dei prodotti realizzati subì una crisi a causa della forte concorrenza. Per tutti questi fattori, quindi, numerosi abruzzesi decisero di emigrare all’estero (prevalentemente verso Argentina e Stati Uniti) alla ricerca di una situazione più stabile. Oggi l’Abruzzo gode di una situazione migliore rispetto a quella avuta in passato, ma comunque l’esodo dei suoi abitanti non è cessato. Uno degli obiettivi prioritari della regione è frenare la fuga dei cervelli e degli anziani, i quali spesso sono costretti a trasferirsi in un altro Paese per trascorrere al meglio la loro terza età.

Conclusioni

Il fenomeno migratorio mal si presta alle generalizzazioni, in quanto si caratterizza per fasi e forme diverse e richiede pertanto analisi differenziate nel tempo e nello spazio. Oggi, anche se resta indiscutibile il primato dell’origine meridionale degli emigranti, si sta progressivamente assistendo ad un abbassamento dei valori percentuali del Sud Italia a favore di quelli del Nord. Le regioni centrali non hanno un tasso elevato, in quanto i cittadini valutano soprattutto l’opzione della migrazione interna. La differenza principale tra il meridione ed il settentrione consiste nelle occasioni, negli spazi e nelle opportunità per realizzarsi concretamente.




L’intero stato italiano sembra incapace nel trattenere o attirare talenti che valorizzino il settore e la terra in cui operano. Inoltre, a contribuire all’aumento del numero di emigrati sono il costo di trasferimento nettamente inferiore rispetto al passato e la facilità di poter comunicare con le persone care rimaste in Italia.
È evidente che la generazione più penalizzata dal punto di vista delle possibilità lavorative è quella che comprende i giovani tra i 18 e i 39 anni: essi vedono l’emigrazione come un mezzo per soddisfare le ambizioni e a decidere di trasferirsi all’estero sono maggiormente uomini che donne. Credono, inoltre, che il territorio italiano non possa fornire loro possibilità per poter emergere nell’ambito lavorativo, ma spesso non è così: l’Italia e le regioni propongono numerose iniziative a favore dell’impiego dei più giovani, ma questi non sempre ne sono a conoscenza.
Garanzia Giovani, ad esempio, è un programma messo in atto dallo Stato per combattere la disoccupazione giovanile per chi ha un’età compresa tra i 18 e i 29 anni e consente di attivare tirocini, contratti di apprendistato, servizio civile e tanto altro. Inoltre, offre sostegno all’autoimpiego e all’autoimprenditorialità: operatori qualificati propongono un percorso di formazione mirata nelle varie fasi di sviluppo imprenditoriale.
Un’altra opportunità offerta dallo Stato è la vendita di terre agricole, fino a qualche anno fa inutilizzate, per aprirle a nuove attività produttive: si tratta di 8000 ettari messi a disposizione attraverso la “Banca delle Terre agricole”.
È preoccupante constatare che ad emigrare sono perlopiù professionisti e laureati, i quali non sono soddisfatti delle proposte lavorative offerte dal nostro territorio ed aspirano ad un impiego migliore recandosi all’estero. Alimentare il settore della ricerca scientifica, probabilmente, potrebbe rappresentare una soluzione alla fuga dei “cervelli”. Lo Stato dovrebbe impegnarsi ad invertire il fenomeno migratorio attirando menti all’interno dell’Italia, evitando quindi di privare il territorio delle menti migliori e delle eccellenze scientifiche. Sarebbe opportuno mettere in atto iniziative volte a rinsaldare i rapporti tra gli emigrati e la loro terra d’origine, facilitandone il rientro fornendo contributi per le spese di viaggio ed avvantaggiando il reinserimento nel territorio italiano. È giusto emigrare, ma questa non dovrebbe essere l’ultima alternativa?

Dati


Istituto Nazionale di Statistica ISTAT

Fonti

Centro Internazionale Studi Emigrazione Italiana CISEI
Centro Studi Permanente sull'Emigrazione Museo dell'emigrante


I dati inerenti alla storia delle regioni sono stati recuperati da vari articoli de "La Repubblica" e del "Corriere della Sera" e dai siti di ogni regione.
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