È dal 2012 che in Italia non si superano più i 200 mila matrimoni all'anno. Nemmeno la lieve ripresa del 2015 ci ha riportati ai valori registrati quarant'anni fa, che oltrepassavano i 400 mila. L'Italia si colloca così tra i paesi europei con il più basso tasso di nuzialità. Diversa la situazione per separazioni e divorzi, entrambi in crescita. Spiccano i divorzi del 2015: 30 mila in più rispetto all'anno precedente. Nonostante questo, il tasso di divorzio in Italia è al di sotto della media europea.
Ma come si arriva al divorzio?
Partiamo da un'analisi preliminare sui matrimoni, per poi soffermarci sulla separazione, primo passo verso il divorzio.
Dai dati emerge che l'Italia è al di sotto della media europea sia in termini di tasso di matrimoni (3.20) che in termini di tasso di divorzi (1.36).
In Italia i matrimoni sono in forte calo. Sembra paradossale ma si è tornati ai livelli rilevati in seguito alla proclamazione del Regno d'Italia (1861). Non si può dire altrettanto per separazioni e divorzi che sono in costante aumento.
Osservando il grafico si nota che:
Significativo l'aumento di separazioni, per entrambi i sessi, dopo i 60 anni. Questo fenomeno, chiamato gray divorce in America, si sta intensificando anche in Italia. Tra le possibili cause l'indipendenza economica delle donne, una maggiore elasticità morale e consapevolezza di sé.
Dai dati emerge che, sia gli uomini che le donne preferiscono sposarsi intorno ai 30-34 anni, probabilmente dopo aver concluso gli studi universitari e/o aver trovato lavoro. Inoltre, il maggior numero di separazioni si registra tra i 40 e i 49 anni. Ciò fa dunque pensare che una "crisi di mezza età" possa influire sulla scelta di compiere tale passo.
La tabella soprastante tiene conto di 25 tipologie di coppie, che differiscono l'una dall'altra per la condizione professionale dei coniugi. Per ogni tipologia è riportato un valore percentuale, che indica quante coppie di quel tipo si sono separate, in relazione al numero totale di coppie della stessa natura presenti nel periodo preso in esame.
Rilevante pare essere il ruolo della disoccupazione. Le categorie che presentano le percentuali più alte sono infatti quelle che vedono disoccupato almeno uno dei coniugi: la tipologia più rilevante risulta essere quella marito disoccupato-moglie occupata (2,11%), subito seguita da quella in cui entrambi i coniugi sono disoccupati (1,68%). Degni d'attenzione anche i casi con marito occupato e moglie disoccupata (1,37%), e quelli con marito disoccupato e moglie pensionata (1,33%), che presentano valori superiori a quello delle coppie occupato-occupata (1,22%).
Prendendo in considerazione 16 tipologie di coppie, differenti per il titolo di studio posseduto dai coniugi, la tabella riporta per ogni categoria il relativo numero di separazioni.
Spiccano fra le altre le coppie del tipo licenza media-licenza media (20540 separazioni) e quelle diploma-diploma (23610 separazioni).
Durante la separazione i figli possono essere affidati alla madre, al padre, a entrambi o a terze persone. Confrontando dati relativi agli anni 2008 e 2012 si evince che, su larga scala, le preferenze non sono rimaste invariate nel tempo:
In tutte le regioni italiane il motivo principale alla base delle separazioni è l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza matrimoniale. Questo concetto, definito dalla Cassazione civile con sentenza n. 2274, può avere natura:
La mappa è stata costruita in base alla differenza tra la percentuale di separazioni imputabili al marito (sempre maggiore) e la percentuale di quelle imputabili alla moglie. Questo calcolo è stato effettuato per ogni regione italiana.
Valore = percentuale di separazioni imputabili al marito - percentuale di separazioni imputabili alla moglie
I matrimoni religiosi sono in drastico calo. Ciò è probabilmente dovuto alla disaffezione per la religione e alle nuove tutele per le coppie di fatto: infatti il matrimonio non è più ritenuto necessario per abbandonare la casa o mettere al mondo figli. Nel 2014 in Italia si sono celebrate 108 mila nozze in chiesa, 61.583 in meno del 2004, ma soprattutto 127.936 in meno rispetto al 1994. In vent'anni quindi, c'è stato un crollo del 54% dei riti religiosi.
Addirittura, secondo una proiezione statistica del Censis (Centro Studi Investimenti Sociali), nel 2020 si avranno più matrimoni civili che religiosi e nel 2031 non verrà celebrato alcun matrimonio in chiesa. Succederà davvero?
Si parla di separazione consensuale nel caso in cui i coniugi riescano a trovare un accordo riguardante le condizioni, personali e patrimoniali, della separazione stessa. Il tribunale si limiterà ad assicurare che si rispettino i patti presi, tramite decreto. Se, invece, i componenti della coppia non raggiungono tale accordo, la separazione è pronunciata con sentenza dal tribunale, che decide le condizioni. In questo secondo caso si parla di separazione giudiziale.
Risulta chiaro che il rito di celebrazione del matrimonio (religioso o civile) non influenza il tipo di procedura giuridica scelta per la separazione (consensuale o giudiziale).